Aliano (MT) – Carlo Levi E’ assolutamente unico e prezioso il fatto che un uomo di cultura, un artista sensibile, attraverso la sua segregazione coatta (confino) si sia trovato immerso in una realtà sociale sconosciuta ai più, che lo ha suggestionato ed impressionato al punto da creare con la sua opera un capolavoro di cronaca ed un trattato di etnologia.
La descrizione minuziosa dei volti, delle valli, degli animali, delle case e delle pietre consente oggi la loro rivisitazione altrettanto minuziosa che permetterà di scoprire tutta la loro sorprendente integrità.
Paesaggi molto vari si alternano in questa parte di regione. Si va dall’ultimo lembo della Murgia materana, a vocazione cerealicola, ai monti che separano le valli dei fiumi Bradano e Basento. Dalle colline ammantate dai campi di grano alle coltivazioni frutticole che digradano lentamente verso lo Jonio. Dai monti ricoperti di boschi, all’aspro, lunare paesaggio dei calanchi, così efficacemente descritti da Carlo Levi.
Levi ritrovò metaforicamente, nei paesi lucani, la condizione umana che era all’inizio dei tempi e ciò cui occorreva guardare per creare una via alternativa. Egli scrisse del suo soggiorno che: “…fu dapprima esperienza, e pittura e poesia…e poi teoria e gioia di verità per diventare infine apertamente racconto…”.
Levi aveva colto gli aspetti socialmente più drammatici di questo piccolo paese di 1350 abitanti, a 100 chilometri da Matera e a 500 metri di altitudine, in cui visse per sette mesi e diciassette giorni, dal 3 ottobre 1935 al 20 maggio 1936, da confinato politico.
Egli, come successivamente ha dichiarato nella prefazione della cartella di litografie “Cristo si è fermato a Eboli” pubblicata nel 1974, “Aliano è il simbolo di tante altre Aliano sparse nel mondo…”.
Nel suo viaggio elettorale del 1919 Luigi Cucari osservava come durante i comizi, i borghesi siano sempre rigorosamente separati dal popolo contadino.
Si tratta di una spaccatura sociale che nell’analisi di Carlo Levi costituisce il terzo punto qualificante la questione meridionale, il “lato sociale del problema”: “Il vero nemico, quello che impedisce ogni libertà e ogni possibilità di esistenza civile ai contadini, è la piccola borghesia dei paesi. E’ una classe degenerata, fisicamente e moralmente: incapace di adempiere la sua funzione, e che solo vive di piccole rapine e della tradizione imbastardita di un diritto feudale”.
Questo è esattamente il rapporto conflittuale di amore e disprezzo che ha legato Levi al suo territorio alianese durante il periodo del confino.
I contadini, analfabeti e a lungo esclusi dal diritto di voto, sono dunque socialmente e culturalmente del tutto estranei tanto ai nobili quanto ai borghesi.
Ma il silenzio delle montagne, la solitudine e la miseria dei paesi arroccati sui monti, le infinite distese di argilla, i fiumi lenti e sornioni della valle dell’Agri e del Sauro ed ancora le leggende dei briganti, delle fate, dei lupi mannari e delle streghe sono stati tutti elementi di ispirazione dell’Autore che li ha vissuti personalmente e profondamente: curando i malati di malaria, dipingendo i ritratti dei bambini lucani, annotando le sue impressioni sul taccuino. Nelle parole e nei racconti del “Cristo” si delinea un Carlo Levi curioso, affascinato e sensibile a tutto ciò da cui è circondato.
Egli approfondisce l’analisi dei luoghi e dei personaggi con una tale forza letteraria da trovarsi egli stesso proiettato verso quei tempi arcaici e sconosciuti che affondavano le loro origini territoriali nella mitica Magna Grecia.
Il rapporto che lo ha legato alla terra lucana emerge dai suoi dialoghi con Giulia la Santarcangiolese la quale entrando nella sua casa di Aliano, contribuì a svelargli i segreti della storia, dei luoghi, dei misteri di quella terra.
“Una sola fa veramente per lei: è pulita, è onesta, sa far da mangiare, e poi, la casa dove lei va ad abitare è un po’ come fosse la sua….Mi decisi dunque a cercarla…e fece il suo ingresso nella mia nuova casa. Giulia era una donna alta e formosa, con un vitino sottile come quello di un’anfora, tra il petto e i fianchi robusti. Il viso era ormai rugoso per gli anni e giallo per la malaria, ma restavano i segni dell’antica venustà nella sua struttura severa, come nei muri di un tempio classico, che ha perso i marmi che l’adornavano…” E dalle azioni quotidiane di Giulia descritte minuziosamente nel libro, è possibile oggi ricostruire il mosaico dei luoghi intatti che avevano ispirato l’Autore nel suo esilio.
Egli aveva la facoltà di passeggiare solo nel tratto del paese compreso tra la sua casa ed il cimitero, conservati ambedue intatti e ricchi di quello stesso sapore che traspare dalla lettura dei suoi brani . In questo breve tratto urbano percorso infinite volte, Levi incontra i malati, discute con i notabili, dipinge le valli che lo circondano, avvicina i contadini e la loro antica cultura ricavandone un quadro così esteso ed universale tra il suo mondo interiore ed il mondo di quella gente primitiva da diventare un saggio a diffusione universale definito da Rocco Scotellaro come “Il più appassionante e crudele memoriale dei nostri tempi”.