La cucina

“Quando, dopo l’intervallo del coltello, ebbi finito di dipingere le volpi, uscii per fare due passi. Aveva cessato di piovere, e l’aria del paese era piena dell’odore di carne bruciata dei GNEMURIELLI che erano posti su dei bracieri, in mezzo alla strada, e che si vendevano a due soldi l’uno… …Come il vapore del brodo lungo della vedova sotto il coperchio della pentola di terra, che sentivo brontolare e soffiare su un povero fuoco di stecchi, disponeva sul tavolo il pane e la brocca d’acqua. Era il pane nero di qui, fatto di grano duro, in grandi forme di tre o di cinque chili che durano una settimana. Di solito non si fa fuoco, la sera, neppure nelle case dei ricchi, dove bastano gli avanzi del mattino, un po’ di pane e formaggio, qualche oliva, e i soliti fichi secchi. Quanto ai poveri, essi mangiano pan solo, tutto l’anno, condito qualche volta con un pomodoro crudo spiaccicato con cura, o con un po’ d’aglio e olio, o con un peperone spagnolo, di quelli che bruciano, un diavolesco. …Giulia su quel fuoco, cuoceva, con le scarse risorse del paese, dei piatti saporiti. Le teste delle capre le preparava a reganate, in una pentola di coccio, con le braci sotto e sopra il coperchio, dopo aver intriso il cervello con un uovo e delle erbe profumate. Delle budella faceva i gnemurielli, arrotolandole come gomitoli di filo attorno a un pezzo di fegato o di grasso e a una foglia d’alloro, e mettendole ad abbrustolire sulla fiamma, infilate a uno spiedo: l’odore della carne bruciata e il fumo grigio si spandevano per la casa e per la via, annunciatori di una barbara delizia.